Ho passato anni in mezzo al mondo degli influencer ludici, delle convention e del gioco di ruolo e da tavolo, spingendomi anche nell’universo dei videogiochi (pur in maniera limitatissima). Forse per un certo periodo sono stato anche io in parte quella cosa, anche se in maniera molto ridotta perché fuori età, fuori tempo massimo e probabilmente, inconsciamente, fuori luogo. Ho cercato di capire, di metterci mano e in ultima istanza di contribuire a un cambiamento che, per me, significava portare avanti la mia passione, rendendola accessibile a un pubblico sempre più vasto. Parlare fa bene. Parlarne fa bene.
Ci ho creduto, ho sognato su questa cosa. Mi sono incazzato quando ho visto cose che non mi piacevano, ho combattuto per un ambiente più aperto e inclusivo in maniera vocale e appassionata. Tuttavia, per quanto riconosca i meriti di questo approccio, mi trovo oggi a percepire il tutto con un certo distacco; non tanto nei contenuti che sono ancora miei, ma nelle modalità. E’ stato un processo lento, una presa di consapevolezza durata anni che però è infine arrivata e che voglio cristallizzare nelle pagine di questo blog. Forse anche la decisione di tornare a un blog personale è parte di questo percorso.
Non fraintendetemi: apprezzo sinceramente l’impegno di chi cerca di alzare il livello del dibattito, di chi punta a fare inclusione, e riconosco che questo sforzo, per chi lo persegue con convinzione, merita ammirazione. Per molti, portare il gioco e l’intrattenimento al centro della scena è un progetto serio, che aiuta a coinvolgere, a creare connessioni, a condividere idee. Tuttavia, quello che personalmente sento è un distacco da questa visione, che, col tempo, ha preso una direzione un po’ troppo “performativa” per i miei gusti.
C’è chi si impegna per portare avanti contenuti curati, inclusivi e ben studiati. So che c’è chi, in questo ambiente, lo fa con grande attenzione e passione, mantenendo intatta la propria autenticità. Ma guardando da fuori, l’impressione che provo è di una realtà dove molto viene sacrificato all’apparenza, alla performance, dove il messaggio si perde dietro a un modello fin troppo studiato e confezionato.
E da qui è nata una riflessione. Dopo aver osservato il tutto da dentro e da fuori; una riflessione che approda oggi a un punto di arrivo dopo anni di osservazione e meditazione più o meno inconscia. Vedere ottimi progetti partire e perdere man mano di genuinità mi ha colpito e non positivamente.
Perché molte delle stories che guardo oggi sembrano volermi “vendere” qualcosa? Non necessariamente un prodotto ma un’idea, un modo di fare e di agire “venduto” appunto come quello giusto, quello più interessante. Anche se i punti di vista sono apprezzabili e condivisibili, questo è un approccio che mi sembra alle volte togliere spazio alla discussione più che darne. E non so, preferisco un approccio personale, anche sbagliando e sperimentando, che mi consenta di trovare un significato autentico nel gioco e nello svago. In tutta sincerità, per me questa cosa di stare sempre in vetrina non rappresenta più un interesse.
Non mi trovo più in sintonia con questo approccio perché le strade della vita mi hanno portato su altre battaglie e altri temi. Oggi preferisco dedicarmi a contesti diversi, a riflessioni e attività che sento più vicine a ciò che sono ora. La famiglia, il lavoro e l’impegno amministrativo sicuramente hanno contribuito e catalizzato questo distacco che già era in corso. Ma non perdo la voglia del gioco genuino, quello che porta a creare, a immaginare, a condividere senza aspettative o riflettori. Resta intatta in me la voglia di giocare, perché è tutto il resto ad essere diventato opaco, costruito, e per me ormai poco interessante.
Il gioco rimane una mia passione autentica, un momento di libertà e creatività che nulla può togliere. Mentre esploro queste nuove direzioni, torno a dedicarmi a una dimensione personale del gioco e dello svago, fatta di semplicità e di condivisione autentica, lontana dalla vetrina e vicina a ciò che conta davvero per me.