Ma le intelligenze artificiali sognano dipinti di Monet a 8-bit?

IA, arte e postumanesimo. Tra tecnologia, paura per il futuro e polemiche. Qualche pensiero organizzato sul tema.

Inizio così, parafrasando uno dei più grandi autori di fantascienza di tutti i tempi ovvero Philip K.Dick. Nel suo libro Ma gli androidi sognano pecore elettriche? portato sul grande schermo con il film Blade Runner, si poneva un interrogativo straordinario: Cos’è reale e cosa non lo è? Cosa è umano e cosa no? Il libro fu scritto nel 1971 e già all’epoca la società si interrogava su questioni riguardanti il post umanesimo, che oggi nel 2022 sono sempre più reali. Ma veniamo all’attualità e lasciamo stare per ora Deckard e i suoi androidi ribelli…

Sta facendo molto parlare di sé l’avvento delle Intelligenze Artificiali (di seguito IA) nell’ambito della creazione di immagini. Avrete sicuramente sentito parlare di Dall-E o Midjourney, due tra i più famosi sistemi di questo tipo. I risultati da un punto di vista tecnico sono incredibilmente sofisticati e in molti stanno accennando al fatto che si tratta di una vera e propria pietra miliare nello sviluppo di questi sistemi. Lo stupore per la tecnologia cede però il passo alle preoccupazioni e alle rumorose proteste degli artisti dei quali accennerò più avanti nel post. Non mi sento di dare loro torto e questo mio pensiero vuole essere un semplice commento in merito ai tanti interrogativi etici, sociali ed economici che questi sistemi stanno cominciando a creare intorno a sé; io non ho vere e proprie competenze sul tema e nei giorni scorsi ammetto di aver esternato alcune affermazioni che nel giro di poche ore, con un po’ di lettura e di studio, ho dovuto rimettere in parte in discussione. Ma anzitutto, le definizioni.

Che cos’è una Intelligenza Artificiale?

In questo caso il nome è molto eloquente. Si tratta di sofisticati sistemi informatici in grado di apprendere, pensare e agire, emulando capacità che fino ad oggi erano retaggio del solo cervello umano. Non sono programmi in cui semplicemente a uno o più input corrispondono uno o più output. Qui siamo a un altro livello, siamo davanti a una macchina che impara dai propri errori ed è in grado di correggerli. Una macchina in grado di agire razionalmente e, arriviamo al punto principale di questo post, anche mostrare una certa forma di creatività. Non so quanto sia corretto parlare di creatività quando si parla del risultato di algoritmi ma sicuramente siamo davanti a una simulazione incredibilmente convincente. Sin dai primi concetti di IA, giustamente si sono posti in merito interrogativi di natura etica, in quanto ad oggi l’unica forma di intelligenza evoluta presente sul nostro pianeta è quella dell’Homo sapiens.

Come rapportarsi quindi con una macchina in grado di prendere decisioni autonomamente e potenzialmente influenzare la vita di miliardi di persone?

Negli ultimi cinque anni molti governi e federazioni (inclusa l’Unione Europea) hanno stilato dei principi etici generali che stabiliscono per punti i paletti entro i quali una IA dovrebbe muoversi. Il difetto di questi principi è che la loro applicazione arranca dietro la burocrazia e i tempi della politica mentre la tecnologia si sta sviluppando in maniera molto rapida tanto da andare già a minare alcuni di questi principi; è il recente caso delle IA in grado di produrre immagini, come vedremo nel prossimo paragrafo.

Dall-E, Midjourney e le IA “artistiche”

Siamo partiti da qui. Da Dall-E e Midjourney, due ormai famosissime IA in grado di produrre immagini sulla base di determinati input testuali. Macchine straordinarie che, attingendo dall’enorme database di immagini riversate su internet dai suoi albori, sono in grado di generare immagini di buona qualità tecnica nel giro di pochi secondi. E’ facile immaginare quale tipo di applicazioni potrebbero avere queste IA ma qui la faccenda comincia a prendere una piega piuttosto inquietante.

Il capitalismo porta per natura la nostra società a porsi un interrogativo: se una macchina è in grado in pochi secondi di creare una immagine a partire da una descrizione, perché devo pagare un fumettista o un illustratore centinaia di euro per un lavoro artigianale?

E’ una domanda che si perde nell’alba dei tempi e affrontata anche da Marx nella sua filosofia, quando parla di automazione. Non ho i mezzi per mettermi a discutere di filosofia ma ci siamo capiti, il tema non è nuovo.

Se un robot riesce a produrre più pezzi in un minuto rispetto a un essere umano, perché mi servono tutti questi operai? Se la corrente elettrica è così semplice ed economica, a cosa mi servono i mastri cerai? Il tema, ripeto, non è nuovo.

E’ parte di quel lungo cammino iniziato con il primo utensile ricavato a partire da una pietra da parte di un Homo abilis fino ad arrivare alle IA nei giorni nostri; si chiama progresso tecnologico. Ha accompagnato la storia dell’umanità per millenni e sempre con sé ha portato inquietudine, cambiamenti radicali e questioni etiche molto importanti. Con l’avvento delle IA, il progresso è accelerato all’ennesima potenza e si muove a grandi passi verso una condizione di singolarità tecnologica ovvero un punto in cui l’accelerazione è tale che l’uomo non è più in grado di comprenderne appieno le implicazioni ed esercitarne un controllo. La sempre meno marcata propensione delle persone a riflettere e soffermarsi sulle questioni etiche e filosofiche di una tecnologia aggrava terribilmente la situazione.

Questo tipo di strumenti hanno applicazioni buone e applicazioni pericolose e non etiche. Iniziamo da queste ultime: l’editoria ha già iniziato a fare largo uso delle IA per sostituire gli artisti artigianali nel loro lavoro con uno strumento a basso costo e alta velocità. Al momento la cosa risulta legittima ma temo che non si sposi bene con i principi generali dell’Unione Europea sullo sviluppo sostenibile di questi strumenti. Il problema è che i principi non sono leggi e senza una legge la cosa risulta perfettamente legale. Quindi sì, in questo senso gli artisti fanno bene a lamentarsi e a cercare di fare lobbying in tal senso; spero che sindacati e legislatori ascoltino questo grido e riescano a tutelare adeguatamente il loro lavoro, magari con una forma di compensazione a forfait sulla base dei dataset utilizzati, royalties adeguatamente riconosciute oppure con norme che impongano agli editori una certa tassazione nel caso di utilizzo di immagini IA (un po’ come la SIAE fa con l’utilizzo dei brani musicali). In generale il concetto di ridistribuzione del valore generato dalle macchine non è nuovo ma il dibattito politico in merito è totalmente al palo quando si parla di tecnologie rivoluzionarie, in Italia ancora di più.

L’attenzione degli artisti si è rivolta giustamente anche al fatto che le IA pescano di fatto da database che contengono tra gli altri anche lavori di proprietà intellettuale umana e ben definita e in questo modo “rubano” un lavoro stravolgendolo (e chi ha dato alla IA queste immagini? Ne parliamo nel prossimo paragrafo). Qui la questione in realtà è molto più complessa. Una IA, tecnicamente, non si limita a “copiare” un lavoro. Un singolo disegno rappresenta un miliardesimo degli input che una IA utilizza per alimentare i suoi sofisticati algoritmi al fine di creare una immagine output ed è quindi letteralmente impossibile affermare che un pezzo sia stato rubato dalla IA e potrebbe essere invece considerato come una “ispirazione” per fare un lavoro diverso e più complesso; non procedo con questo argomento perché so che fa molto arrabbiare gli artisti, nonostante io creda che sia molto calzante.

Qui sfioriamo nuovamente la filosofia e scomodiamo nuovamente Philip K.Dick: che cos’è l’arte, cosa non lo è? L’arte è un insieme di processi neurali trasferiti su una tela o un foglio di carta, oppure è qualcosa in più e trascende il piano fisico per toccare quello psicologico e spirituale? Bella domanda. Non ho risposte. Ad ogni modo è solo per far capire quanto sia complesso il tema.

Arrivando alle applicazioni che io personalmente considero “buone”, devo dire anche che, da artista amatoriale, io trovo queste app incredibilmente importanti per la mia formazione e il mio lavoro. Perché mi aiutano a re-immaginare un soggetto, a capirlo e a rielaborarlo prima di mettere mano al pennello e ai colori; mi rendo conto che per un’artista più capace questa potrebbe essere una funzione irrilevante ma per me non è così e immagino anche per molti altri amatori. Oppure ancora, e non lo nascondo, da giocatore di ruolo le immagini di Midjourney mi aiutano a creare storie migliori e sessioni più divertenti per i miei giocatori. E’ chiaro che mi piacerebbe molto avere il mio personaggio o il mio landscape realizzato a mano da qualche amico illustratore, oppure realizzare tutto io stesso (l’ho detto che sono un discreto pittore e cartografo? Lo dico di nuovo) ma è anche vero che non posso spendere centinaia di euro (o di ore) a lavoro solo per il mio hobby e credo che ciò sia comprensibile. Io non mi sento in colpa per utilizzare questa app nel mio ambito casalingo, amatoriale e privato. Sono consapevole del loro bassissimo valore ma mi aiutano.

Nel prossimo paragrafo affronterò anche un altro aspetto di questa vicenda che, devo dire, purtroppo ha del grottesco ovvero il boicottaggio della IA art su Instagram.

Le proteste “no-AI” su Instagram e altre piattaforme

Quando si vede il proprio lavoro minacciato, la protesta è la migliore opzione per fare luce sul problema. Lo sciopero, la protesta silenziosa, i sindacati, i flash mob, sono tantissime le modalità per far sentire la propria voce, tutte sacrosante, tutte perfettamente legittime. Il problema, però è a monte.

Ho già parlato su Medium del mio attuale problema con i social network, e di come ho ristabilito le mie regole di ingaggio con questi strumenti (in particolare qui e qui). In particolare mi ero soffermato sull’economia dell’attenzione e l’economia del tempo che i social network avidamente bramano. Ma c’è un altro aspetto molto più di base e che non avevo trattato all’epoca ovvero l’utilizzo dei nostri dati.

Queste piattaforme sono trappole che dietro la promessa di una interazione sociale più fluida, di un costante contatto con ciò che è di tendenza ed è cool, fagocitano e rivendono i nostri dati e ne fanno ciò che vogliono.

I termini di contratto di Instagram, social network tra i più gettonati tra i nostri amici artisti, cita:

I diritti dell’utente relativi ai suoi contenuti non subiscono alcuna modifica. Non rivendichiamo la proprietà dei contenuti pubblicati dall’utente sul Servizio o tramite lo stesso e l’utente è libero di condividere i propri contenuti con chiunque, in qualsiasi momento. Tuttavia, l’utente deve concedere determinate autorizzazioni (note come “licenza”) per consentirci di fornire il Servizio. Quando l’utente condivide, pubblica o carica un contenuto coperto da diritti di proprietà intellettuale (ad es. foto o video) in relazione o in connessione con il nostro Servizio, ci concede una licenza non esclusiva, non soggetta a royalty, trasferibile, conferibile in sublicenza e globale per la conservazione, l’uso, la distribuzione, la modifica, l’esecuzione, la copia, la pubblica esecuzione o la visualizzazione, la traduzione e la creazione

Condizioni d’uso, Instagram

Quindi, in breve, la proprietà delle opere rimane nostra ma Instagram chiede in cambio una licenza priva di royalty per distribuire e modificare la nostra opera come meglio crede. A quel punto, anche affidare ciò che facciamo alle IA che oggi tanto ci spaventano. Non è una cosa banale e non bastano i “si vabbeh, e io come faccio a promuovere la mia arte?”. Il servizio è indubbiamente buono ma il rovescio della medaglia spesso è sottovalutato. Esistono le alternative come quelle offerte dal fediverso (pixelfed ad esempio) oppure la creazione di blog artistici, indicizzati e promossi in maniera più cauta tramite i social network.

Diciamo che bisogna avere il coraggio di perseguire strade alternative, una volta che ci si è resi conto di aver regalato i propri dati (anche artistici) a cani e porci. E’ una strada dura e che richiede il ripensamento di logiche come il reach o la viralità che ad oggi sembrano insostituibili. Oppure accettarne le possibile conseguenze.

I grandi social network non sono enti di beneficenza, non offrono servizi in cambio di un batti cinque. Sono spesso aziende che subdolamente prendono i nostri dati, magari anche quelli più intimi, e li condividono con altre realtà disposte a pagarle profumatamente. L’attenzione alla privacy è sempre più sottovalutata in questo mondo di strumenti “senza attrito”, coloratissimi e divertenti. Quindi amici artisti, occhio. Pensate anche a questa cosa. Un monito che vale per tutti, artisti o meno.

L’intelligenza artificiale non minaccia solo gli artisti

Non facciamo l’errore di pensare che l’automazione e l’intelligenza artificiale siano argomenti confinati nel solo ambito artistico. Strumenti di questo tipo stanno letteralmente spopolando in tantissimi settori. Prendo l’esempio del mio lavoro, quello del Sales Manager. Visitando cliente, effettuando promozioni, comparando prodotti simili di diversi produttori, noi produciamo dati che generalmente vengono riversati all’interno di enormi database chiamati strumenti di CRM (Customer Relationship Management). Questa enorme mole di dati si accresce di giorno in giorno e oggi anche nel mio campo, la figura del data analyst è sempre più ricercata in quanto in grado di indirizzare determinate decisioni sulla base dell’analisi di questi dati.

Alcuni di questi sistemi CRM inoltre hanno già integrano alcune IA che consigliano l’utente in merito a questioni quali ottimizzazione del cash flow, cross selling, ritenzione dei margini, etc. E questi erano tutti lavori che fino a dieci anni fa richiedevano capacità critica e di analisi da parte del venditore, insieme alle altre funzione dell’azienda.

L’IA nel caso del mio lavoro si sta rivelando un validissimo aiuto nella gestione del lavoro quotidiano. Non senza preoccupazioni, ovviamente. E’ chiaro che alcuni tra i miei colleghi si sono sentiti minacciati da questa cosa.

Perché utilizzare un CRM? Perché l’azienda ha bisogno dei miei dati, dei miei commenti, della mia conoscenza? Il mio lavoro è stare presso il cliente, non riempire scartoffie digitali ogni due minuti!

Voi non avete idea di quante volte negli ultimi anni ho sentito questi discorsi. E’ il progresso! Come detto prima, fa paura, pone interrogativi etici e personali ma è inarrestabile. Bisogna solo capire come governarlo e cosa molto importante, come modificare le proprie competenze al fine di stare al passo. Come fare in modo che il mio lavoro dia un valore aggiunto insostituibile da una macchina pensante.

Mi raccontava un esperto di IA che gli stessi programmatori di questi strumenti si stanno interrogando su ciò che dovranno fare tra cinque o sei anni al fine di poter lavorare ancora, perché ciò che hanno creato richiederà sempre meno manutenzione e intervento umano, propio come un figlio che nasce, cresce, apprende e prima o poi avrà una sua indipendenza.

La formazione è la chiave per dare valore al proprio lavoro nei tempi che ci troveremo ad affrontare. Ne sono sempre più convinto.

In conclusione

Ripeto e concludo. Comprendo la paura degli artisti perché è una cosa naturale ma io di una cosa sono sicuro: al di là dei dilemmi etici e dei paletti che si dovranno per forza cercare, il valore di un’opera d’arte non sarà mai sostituibile con l’elaborato di una macchina, per quanto pensante possa essere. L’arte ha sempre parlato al cuore delle persone e alla loro intelligenza. Invece di fare la guerra alle macchine, gli artisti dovrebbero prodigarsi di raccontare la loro bellezza e farla germogliare nel cuore delle persone affinché possano comprenderne il valore. Qui entriamo nel campo delle politiche per la cultura, che non voglio affrontare in questo post, ma questo è chiaramente il campo dove si gioca la partita vera per l’arte. Ridurre sempre tutto a una questione di soldi, a mio avviso non aiuta nessuno ed è vedere il problema dalla parte sbagliata.

Ringraziamenti

Come ho premesso, non sono affatto un esperto di IA ma una persona che si interessa e cerca di esprimere qualche opinione con un minimo di senso critico. Prima di scrivere questo pezzo, avevo idee un po’ più radicali a riguardo e devo ringraziare in particolare Valentina De Chirico, Stefania Ruggeri, Milena Rigucci ed Emilio Palmerini per aver alimentato in parte questo post con le loro opinioni e i loro commenti privati. Invito tutti a fare altrettanto, con civiltà, nei commenti qui sotto; perché, per citare un altro amico, Mario Cortese, la coerenza è una malattia. Grazie!