Ucraina: una guerra che riguarda tutti noi

Ricorre oggi il primo anniversario della Guerra in Ucraina, in seguito all’invasione totale Russa dei territori già compromessi dell’est del Paese. Inizio questa riflessione ricordando che purtroppo il conflitto dura ormai da più di sette anni, essendo iniziato di fatto nel 2014 con l’annessione della penisola di Crimea alla Federazione Russa.

Quando mi addentro in questioni geopolitiche rischio sempre di dire cose inesatte e lasciare troppo spazio ai pareri personali e senza supporto effettivo. Mi perdonerete dunque qualche sciocchezza o inesattenza, anche se mi ritengo una persona attenta e informata. Voglio solo affrontare la questione con un po’ di spirito critico e umano.

E’ chiaro che la contraposizione di due “blocchi” così importanti è una contraposizione epocale come mai viste dai tempi della Guerra Fredda. La storia ci ha insegnato che tale guerra non fu mai diretta tra le due grandi potenze dell’epoca ma solo indiretta in vari scenari di conflitto a livello globale, dal Vietnam alle due Coree fino all’Afghanistan e alla situazione di tensione tra le due Germanie. Per questo, non credo che una escalation nucleare sia probabile nonostante l’infodemia generale possa far pensare ad altro.

Come allora, la contrapposizione non è solo una questione tra due superpotenze, una guerra per le risorse o una lotta per ambizioni etniche o territoriali. Si tratta anche di una lotta di sistema che ci coinvolge tutti, anche se non siamo materialmente al fronte o nelle trincee.

Il regime di Putin si basa su una ambizione imperialistica da parte della Russia per sostenere la sua plutocrazia post-sovietica. Questo modello è quello che Putin vuole esportare nei territori aggrediti e che trova in plauso, pur distaccato (al momento) e freddo della Cina che con le dovute differenze ha anch’essa ambizioni imperialistiche e un modello plutocratico e autoritario travestito da comunismo post-maoista.

Dalla nostra parte, siamo usciti dalla Seconda Guerra Mondiale costruendo democrazie europee degne e nonostante qualche imperfezione e necessità di cambiamento, non credo che ci sia persona che possa dire male di questo modello. Servirà un lavoro nei prossimi anni per rivedere alcune cose, già molte riforme sono in atto in tanti paesi al fine di garantire governabilità e rappresentanza. In alcuni casi purtroppo ci sono derive non esattamente positive (come in Ungheria) però in cuor mio, credo nella democrazia, credo nel processo di una Europa federale e unita e ci credo a maggior ragione in seguito agli eventi dei nostri giorni.

Lo scontro quindi vede ancora una volta coinvolta la democrazia e le forme più o meno autoratiche di governo. Per ogni persona con un briciolo di buonsenso, la scelta della parte “della ragione” dovrebbe essere chiara. Sostenere la causa dell’occidente oggi significa quindi anche difendere il nostro sistema di valori. A meno che una persona ambisca davvero ad avere un Putin o uno Xi Jinping a modello di leadership, credo che la nostra scelta sia una sola e anche nel nostro piccolo, con il nostro pensiero, la nostra voce e le nostre azioni possiamo dare un contributo alla nostra giusta causa come mai è stato possibile prima d’ora.

Ancora una volta, non si tratta di fare qualche gesto esteriore e di facciata: le candeline e i selfie in preghiera, le bandiere della pace ai gazebo del PD servono a poco se non mettiamo buonsenso, buon cuore e testa sulle cose concrete di tutti i giorni. La solidarietà alla causa si deve manifestare sulle cose concrete, sul buon governo, sulla difesa della democrazia e con l’appoggio a chi in maniera disinteressata sta portando aiuto alle popolazioni aggredite dai russi.

Detto ciò, io credo anche che in ogni essere umano comune abiti una aspirazione generale alla pace; dal parigino al bertonicense fino all’abitante di Mosca o della Siberia, persone che prima di oggi hanno avuto modo di incontrarsi, di parlare, di tessere relazioni personali o economiche; tutti vogliono una pace duratura e giusta che possa per prima cosa stabilizzare quella regione, in secondo luogo definire le regole del gioco per i prossimi 40-50 anni senza ulteriori spargimenti di sangue.

Anche perché, detto tra noi, io credo che le sfide globali più importanti siano altre e in prima battuta la terribile emergenza climatica ormai sotto gli occhi di tutti. Una emergenza che non guarda in faccia a etnie, governi, carri armati e despoti ma colpisce tutti senza distinzione. Giustizia climatica e sociale sono due cose indivisibili e credo che come società questa debba essere la più grande aspirazione, il più importante obiettivo al quale tutti dovremmo tendere.

Termino qui questa riflessione, nella speranza che la diplomazia ingrani presto la marcia giusta per porre fine a questo conflitto assurdo e sanguinoso ma senza mollare di un centimetro sulla mia convinzione che ci sia una parte dalla quale è giusto stare e una parte dalla quale tenersi lontano. Senza ambiguità che al momento sicuramente non fanno bene a nessuno.