Lo so. Pessimo tempismo. Tra macarene in spiaggia e sbornie di festival estivi, proprio ora un post critico verso gli anni’90. Eh, abbiate pazienza. Ce l’ho sul gozzo da anni e prima o poi dovevo dire qualcosa.
Sarà la nostalgia che ci prende a noi quarantenni del 2025, sarà che i jeans larghi son tornati discutibilmente di moda, sarà che fa sempre comodo ricordare solo le Goleador alla frtutta, gli zaini Invicta e le feste a tema. Ormai è un coro: “ah, gli anni ’90!”.
Ma prima di prenotare un biglietto per il passato, forse vale la pena ricordare alcuni aspetti di quel decennio che sinceramente non conservo nelle parti piu’ felici della mia memoria.
Iniziamo dalla scuola. Per molti di noi è stato il tempo dell’infanzia o della prima adolescenza. Il bullismo? Non si chiamava così. Era “goliardia”, “scherzi tra ragazzi”, “formazione del carattere”. Spoiler: non faceva ridere, e lasciava il segno anche per il futuro.
Ansia? Disagio? Bisogni educativi particolari? Venivano etichettati con leggerezza: “è svogliato” oppure l’immortale “non si applica”. Fine della diagnosi. Di emozioni, ADHD, dislessia, autostima non parlava nessuno.
Politica? Un campo minato e il prologo del disastro attuale. Tangentopoli, collusioni tra politica e mafia, processi a raffica, la fine della Prima Repubblica e l’inizio di una Seconda che cambiava sigle ma non volti. La “Milano da bere” travestita da riformismo socialista, l’ascesa di Berlusconi e del suo megalitico conflitto d’interessi, mentre la sinistra iniziava a raffinare la sua incredibile arte della divisione interna. Tempi memorabili? Solo per chi aveva l’amnesia selettiva.
E l’intrattenimento? Soprattutto quello televisivo: comicità fatta di battute su gay, donne, “terroni” e “polentoni”. Risate registrate, ma poco da ridere davvero.
Se eri adolescente, accendevi la TV e imparavi che dovevi essere o super sexy o super muscoloso: altrimenti, restavi fuori dai giochi. E la cosa drammatica era vedere che gli stereotipi travalicavano la finzione e finivano nella tua vita reale. Inclusione e rappresentazione? Fantascienza. Mi ci sono voluti otto anni di terapia per scrollarmi di dosso certe cose che se ci penso ancora oggi mi fanno rabbrividire.
I pomeriggi erano un’esplosione di glitter, urla e stereotipi: ragazzine in minigonna a 15 anni e conduttori adulti che facevano battute oggi da arresto. Registi e produttori? Ai tempi vincenti. Oggi, probabilmente imputati.
E la musica, “che bei tempi”?
A livello internazionale era un’epoca d’oro. Il grunge dei Nirvana, i Radiohead che scrivevano dischi da seminario universitario, i Rage Against the Machine che urlavano contro il sistema con una potenza mai vista prima, i Daft Punk che reinventavano il suono, i Massive Attack che fondevano generi come nessun altro.
E in Italia? In Italia si cantava “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” e “Sei un mito”.
Ora, intendiamoci: gli 883 hanno segnato una generazione. E Max Pezzali, con la sua scrittura semplice e onesta, ha parlato a milioni.
Però… dopo il bar, il motorino e il gelato in spiaggia, veniva il vuoto.
Nel frattempo, i Marlene Kuntz, i CSI, gli Afterhours e i Subsonica cercavano di fare musica che lasciasse il segno, ma per il grande pubblico restavano “roba da nottambuli strani”. E così ci siamo persi tanta bellezza, presi com’eravamo a ballare la Macarena.
Ma non fermiamoci qui, oggi sono in vena e mi viene voglia di grattare ancora un po’ la vernice lucida della nostalgia “col rasoio e con le unghie” (cit).
Il mondo del lavoro iniziava un cambiamento radicale e non in positivo: arrivavano i primi contratti “atipici”, cioè precariato mascherato da opportunita’. Il tempo indeterminato sembrava un miraggio. In fabbrica si fumava accanto ai macchinari e la “sicurezza” era una targhetta appesa male e un consiglio, piu’ che una procedura.
Sul fronte dei diritti civili, l’omosessualità era un argomento da talk show del sabato sera, dove si invitavano persone LGBTQ+ solo per “fare il caso umano”; d’altronde come detto, a partire dalla scuola, i modelli di riferimento erano quelli della TV e uscire dal sistema… Le unioni civili? Ci sarebbe voluto un altro ventennio e ancora non ci siamo del tutto. Il bullismo omofobico era una “ragazzata” e molti imparavano la sopravvivenza prima dell’inglese.
La salute pubblica? Fumo ovunque, merendine che oggi richiederebbero il porto d’armi, zuccheri travestiti da vitamine e un’educazione sessuale fatta più di terrore e moralismo che di informazione. Bastava correre dietro a un pallone e “si sistemava tutto”.
L’informazione aveva i suoi eroi: il plastico di Vespa, le mitragliate di Mentana, entrambi giornalisti dei quali faremmo ancora oggi a meno; la cronaca nera trasformata in fiction, e la linea sottile (spesso superata) tra notizia e sceneggiatura.
E poi c’era l’ambiente. Il buco dell’ozono era la star delle interrogazioni, ma intanto si bruciava di tutto nei camini, i sacchetti di plastica erano gadget e chi proponeva la bici per andare al lavoro veniva guardato come un pazzo new age.
Certo, quel decennio ha avuto aspetti diversi positivi ma preferisco avere di questi una visione piu’ privata e personale. I miei anni ’90 ebbero anche diversi momenti felici e scperte interessanti. Come ogni decennio e ogni periodo della nostra vita d’altronde.
Se oggi molti vogliono tornare negli anni ’90 è forse perché abbiamo smesso di pretendere qualcosa dal presente. Ma davvero ci basta ricordare la Goleador alla frutta e dimenticare il fumo, il precariato, gli stereotipi e la censura emotiva che ci siamo portati addosso per anni?
Io no, grazie. Io, se posso, preferisco andare avanti.